Generazione pop, generazione 80

Scusate, ma abbiamo tutti i diritti di prenderceli quegli anni ’80, tanto vituperati, tanto denigrati, anche adesso. Siamo quelli che sono cresciuti a… no, non a pane e… no, perché eravamo ancora piccini, siamo nati dal ’70-’75, più o meno, in poi, siamo cresciuti a biscotti e… divi della musica degli anni ’80. Quelli che hanno creato il Pop, la musica pop, quelli che l’hanno diffusa nel mondo e gli hanno dato un significato talmente forte, che sembrò essere improvvisamente il genere predominante della musica leggera, insomma un po’ il motivo per cui ascoltarla.

divi, sì, perché diventarono quello; l’essenza del divo, che fino a poco prima era associata ai noti attori del cinema, si spostò anche sui personaggi della musica internazionale. Certo, i grandi cantanti c’erano anche prima, i Beatles, Bob Dylan e tanti altri, ma il fenomeno, negli anni ’80, diventò di dimensioni esorbitanti. Michael Jackson, Madonna, i Duran Duran, George Michael, Prince, Whitney Houston… Ok, Michael Jackson cantava già prima, ma gli anni ’80 furono il suo momento di massimo fulgore, come solista.

Noi ascoltavamo solo loro, non c’era passato nella musica, non c’era nulla se non loro. abbiamo costruito i nostri gusti musicali su di loro, gusti musicali che tutti denigravano: non avevamo il gusto raffinato dei puristi del Rock, del Blues, del Soul. no, noi ascoltavamo quel ciarpame di suoni ritmati e facili, per menti elementari. Impazzivamo per le melodie furbe e romanticone, il sound così ballabile, da far saltare chiunque, anche per le strade.

Abbiamo assistito alla diffusione delle grandi discoteche, non le balere, non i locali dove si andava a ballare, le discoteche: spazi enormi, dedicati solo al ballo e al divertimento fino a tarda notte, tardissima notte. Credevamo che gli Wham fossero davvero bravi, le Bangles e le Bananarama fossero le nuove rappresentanti del Pop Rock, un po’ melodico e un po’ casinaro. Madonna non sapeva cantare, non sapeva ballare, ma noi, il concerto alla tv, ce lo siamo goduto fino alla fine, e ha fatto scuola a tutte quelle che sono venute dopo.

Cher veniva dagli anni ’70, ma quando ha fatto quel video, sulla nave militare, di “If I could turn back time” ha spopolato, alla veneranda età di 43 anni. e la sua amica Tina Turner, di qualche anno di più, stava scoprendo un nuovo filone, che l’allontanava da Ike e la lanciava per sempre, come icona del pop anni ’80; entrambe più belle, più donne, più libere, più forti. Aretha Franklin cantava con gli Eurythmics: “…we’re coming out of the kitchen… Sisters are doin’ it for themeselves” nell’86, perché Aretha, da anni, portava avanti la sua lotta per i diritti delle donne, e quale compagna migliore di Annie Lennox, così androgina, ma così affascinante.

Le piccole donne di domani cominciavano ad imparare, anche grazie alla musica, come poteva essere il loro futuro, quali diritti avrebbero potuto conquistare e come si sarebbero potute comportare, per non farsi sopraffare dai compagni maschi. E i maschi…? Cominciavano ad imparare il romanticismo da George Michael, la cura per il prossimo e la fragilità da Michael Jackson, la bellezza delicata e meno volitiva da Simon Le Bon… sì, forse anche un po’ di femminilità o se si vuol andare oltre, di omosessualità, che però non avrebbe guastato a nessuno, proprio a nessuno!

Whitney Houston ci faceva saltare e cantare a squarciagola, e noi sognavamo di avere una voce come lei: era incredibilmente bella, alta, nera, e “urlava” nel modo più intonato del mondo, le aveva tutte, per essere il massimo. non erano più le urla graffianti e stramaledettamente eccitanti di Janis Joplin, che esprimevano le lotte e le difficoltà degli anni ’70. Questa urlava in modo pulito, soave, cristallino, era l’espressione degli anni d’oro, così perfetti, che persino le urla disperate erano pulite da ogni graffiatura. solo dopo tanto tempo, avremmo scoperto che non erano affatto d’oro e Whitney fu proprio una di quelle che lo scoprì nel modo peggiore.

Cantavamo al ritmo di quelle canzoni, davanti allo specchio con la spazzola come microfono, come avevano fatto tutti prima di noi, ma senza immaginarci la cattiveria delle rockettare alla Joan Jett, bensì chiedendoci se mai un giorno ci saremmo potuti tingere i capelli come Cindy Lauper, nonostante i nostri genitori, e avremmo potuto mostrare, anche noi, la sua spensieratezza un po’ folle. Tante erano innamorate di Simon Le Bon e degli A-ha o degli Spandau ballet e urlavano come delle matte, ogni volta che li vedevano in tv. Compravamo le riviste sciocche, per avere i poster di quei figoni della musica pop, da attaccare in camera, vestiti con look esagerati, pieni di borchie e colori sgargianti, che i nostri genitori trovavano terribili.

Scoprivamo la musica anche guardando Superclassifica Show, e sopportavamo perfino il Telegattone, perché Maurizio Seymandi ci faceva ascoltare anche brani di Sandy Marton o Tracy Spencer. Alcune erano canzoni di dubbia qualità, tenute in piedi giusto da due accordi furbi furbi, ma funzionavano. Seguivamo il Festivalbar come fosse stato l’unico programma d’ispirazione, per la nostra crescita, pensavamo che Terence Trent D’Arby e Patsy Kensit, con i suoi Eight Wonder, ci avrebbero accompagnato per tutta la nostra vita; le ragazze impazzivano per le treccine di lui, i ragazzi hanno avuto quasi un mancamento, quando a lei è caduta la spallina del vestito, in piena diretta televisiva.

Siamo quelli che guardavano Flashdance e sognavano che le stesse gocce di sudore di Jennifer Beals, quando si allena e balla con energia, cadessero anche a noi, quando ci allenavamo nei nostri sport e ci bastassero per diventare campioni, per arrivare dove arrivava lei.

Siamo quelli che guardavano Saranno Famosi, sognando che esistesse, anche qui da noi, una scuola come quella e che i nostri genitori ci avrebbero permesso di frequentarla.

Compravamo i dischi e stavamo ore ad ammirare quelle enormi copertine e a leggere i testi delle canzoni in inglese, cercando di capirci qualcosa, quando l’unica parola che capivamo era “love”, ma a volte ci bastava. Avevamo i dischi, ma comiciavamo a comprare anche le musicassette, che ci portavamo ovunque, con i primi walkman; e per mandare indietro la cassetta ai brani che ci piacevano, e non consumare troppo le batterie, avevamo l’immancabile penna, e la Bic era la più figa, perché si incastrava perfettamente nell’ingranaggio e non perdeva un giro!

Ci piacevano i Roxette, Belinda Carlisle, persino i Bros, e il fondo l’abbiamo toccato forse con Nick Kamen! Quando ci spingevamo sul pop rock, amavamo gli Europe e i Bon Jovi, bastava che fossero un po’ capelloni e un po’ fighi, ma cafoni con classe! Oppure Bruce Springsteen e i Queen, sì, perché anche i Queen stavano diventando un po’ pop, nonostante Brian May ce la mettesse tutta, per far sentire la sua chitarra.

Non avevamo buon gusto, il Pop non era considerato buona musica. I rockettari ci prendevano in giro, quelli che suonavano uno strumento, non suonavano mai quelle canzoni, perché non erano abbastanza colte. Quelli più vecchi di noi stavano ancora cercando di capire se quel nuovo genere fosse davvero un genere, e se avesse qualcosa a che fare con il loro purissimo funky o con la loro geniale dance anni ’70. Michael Jackson era andato a scuola da James Brown, ma non aveva più molto a che fare con The King of Funky!

E quei concertoni?! Li vedevamo alla tv, qualcuno di noi più fortunato c’è anche stato: masse enormi di persone, da far invidia a Woodstock; ragazzi che si scatenavano e poi svenivano in mezzo alla calca, e venivano portati esanimi dagli altri, che se li passavano come pop corn, mentre continuavano a cantare.

Poi sono arrivati gli anni ’90, siamo cresciuti, tante cose sono cambiate, noi per primi: chi ha affinato i propri gusti, chi li ha cambiati radicalmente, chi ha scoperto nuovi generi musicali, chi ha rinnegato il proprio passato, chi è andato avanti nonostante tutto fosse diverso; ma nel cuore ci è rimasto il primo amore.

Il Pop, chiamato così perché popular, sì, certamente popolare, per nulla populista, ma chiaramente alla portata di tutti; commerciale, becero, non raffinato, ma nemmeno fieramente maleducato come il Rock. Perbenista forse, un po’ borghese, un po’ la musica di quella classe sociale, che prese il sopravvento e doveva guidare il mondo in un futuro migliore.

Beh, noi, cresciuti a biscotti e pop, l’abbiamo visto poi il futuro come è andato, ed è forse per quello che ci mancano tanto i biscotti e i concertoni!

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